Popcorn del weekend: Bojack Horseman
Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “I Will Always Think of You” – Jane Krakowski , Colman Domingo
Chi può parlare degli americani meglio degli americani stessi?
Lo hanno fatto Matt Groening con I Simpson e Seth MacFarlane con I Griffin e American Dad, non ci sarebbe nulla di nuovo – direte voi ingenuamente -.
Ecco, così, che vi presento la serie targata Netflix “Bojack Horseman”, figlia della mente geniale di Raphael Bob-Waksberg e di qualche birra di troppo.
Con il pretesto di svestire i meccanismi malsani che tengono in moto l’industria Hollywoodiana, Raphael e la fumettista Lisa Hanawalt, ci calano in un mondo dove gli umani fanno da contorno a personaggi antropomorfi.
Tra i complicatissimi intrecci di sottotrame, si distingue il filo narrativo principale: la storia di Bojack Horseman – potrete facilmente intuire dal cognome che si tratta di un cavallo -, vero e unico protagonista della storia.
Una bella batosta
Bojack è una star acclamata per una serie degli anni 90’ che lo vede protagonista, Horsin’ Around, e che dopo la chiusura, vive il declino della sua carriera.
Pur tirando avanti con la fortuna accumulata negli anni e con piccoli lavoretti procuratigli dalla sua agente e ex amante, Princess Carolyn, una piccola crepa rimane aperta.
Infatti, l’inseguimento del successo e la ricerca di un riconoscimento, lo assillano, nel mentre che tracanna alcolici nella piscina e partecipa a party ed eventi.
Non fatevi ingannare dai colori vivaci e i disegni infantili.
Questa serie è specchio della carneficina della produzione e delle agenzie che trattano le star come carne al macello svenduta al pubblico.
Lo stesso che, di fronte al guardaroba, scarta attori e registi come si fa con gli indumenti sgualciti e non più di tendenza.
Dall’inizio alla fine, Bojack è, a tutti gli effetti, la personificazione del fallimento e dell’inadeguatezza. E, per quanto siano mostri dal quale ci è sempre stato detto di stare alla larga, non possiamo far altro che assecondare la sua frustrazione e, addirittura, empatizzare con lui.
Un antieroe con il muso e la criniera con cui ci piace identificarci. Sarà per il fremito nel sentirsi superiore? Oppure ci interessa il semplice confronto?
Fatto sta che questa serie ci mette di fronte ad uno specchio, accompagnandoci, di episodio in episodio, ad una sempre più profonda introspezione.
Memiamo un po’
Ma, dato che noi della GenZ non amiamo prenderci troppo sul serio, addolciamo la pillola – che altrimenti sarebbe un pistolone infinito sul senso della vita e la desolazione del futuro – con qualche battutina e una vena ironica e sarcastica.
Credo che la chiave, che ha fornito l’accesso a l’acclamazione da parte del pubblico e la critica, sia stato proprio questo: il tempo comico interrotto da frasi esistenziali che ti strappano l’anima e ci passano sopra con il rullo.
Basta ricordarci di:
“Tu sei tutte le cose che non vanno in te. Non è l’alcol o le droghe o nessuna delle m*rdate che ti sono successe nella carriera o quando eri piccolo. Sei tu!”
– Todd
Cioè, due minuti fa stavamo ridendo della puzzetta fatta da una vecchia tartaruga in slip rossi, ed ora stiamo ragionando su quanto facciamo schifo?
E allora prendiamo un bel respiro e aspettiamoci dopo una risata, il peso della coscienza che ci cade sulle spalle come un macigno.
Eppure
Normalizzare il dolore e lo star male, o perlomeno non condannarlo, considerandolo semplicemente come un segmento del percorso: questo è uno dei punti più belli della serie.
Bojack è così com’è.
Un agglomerato di difetti, egoismo e straordinarie qualità che, oltre a scandire un personaggio a tutto tondo e disgustosamente umano, fanno di lui un portatore di lezioni sagge e importanti. Ci viene facile amarlo, seppur sia l’opposto di quello che ci aspettiamo di essere.
“Si sbaglia, si chiede perdono, si ricomincia e si sopravvive.”
– Bojack Horseman
E così all’infinito. O almeno, fino alla fine.
Scritto da: Laura Cervelli 5