Officina dell’arte: Mattò
Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “La leggenda di Crisalda e Pizzomunno” – Max Gazzè
Come primo articolo della mirabolante rubrica Officina dell’arte, vi racconterò una storia, che parla di come l’uomo tramite la sua creatività, sia in grado di comunicare in modo semplicissimo dei profondi sentimenti –giuro che questa frase è mia-.
C’era una volta –ma c’è ancora oggi– un’isola della Sicilia chiamata Favignana.
Questo luogo era abitato da uomini che seguivano, alla lettera, le antiche tradizioni marinaresche.
Tra le tante, vi era quella della mattanza e, per ora, vi basti sapere che si tratta della pesca intensiva dei tonni –perchè del metodo ne parleremo in un’altra storia un po’ più dark-.
La nostra storia, intanto, continua: tra questi pescatori ce n’era uno che amava dipingere.
Non aveva studiato all’Accademia delle Belle Arti, né partecipato a dei veri corsi di pittura; conosceva semplicemente il linguaggio dei colori, delle forme e del pennello, con il quale decise di fotografare scene di vita quotidiana.
Il suo nome era Giovanni Tammaro.
Comunicare in silenzio
Visitando Favignana, è difficile non entrare a contatto con dei pescatori particolarmente eccentrici, narratori in prima persona di ciò che, secondo loro, era lo spettacolo della pesca.
Mattò –nome d’arte dell’autore– si differenzia dagli altri proprio per questo.
Lui racconta, tramite i quadri, tutta la storia, dal momento in cui i tonni vengono pescati, alla loro lavorazione per essere trasformati in saporiti filetti targati Angelo Parodi.
Lo avete notato, lo stile?
Come anticipato, Mattò non ha avuto maestri, e per i suoi disegni si limitava a riportare sulla tela ciò che vedeva, usando colori, enfasi dei volti e pennellate, per trasmettere, a chi guarda, dei messaggi, senza neanche usare le parole.
“Forse gli studi gli avrebbero fatto male: gli avrebbero insegnato parallelepipedi, gessi, come riprodurre quadri celebri.”
-Salvatore Fiume
Sviluppi inaspettati
Guardiamoci negli occhi, –figurativamente parlando-.
Non credo che qualcuno di voi metterebbe una cosa del genere nel suo soggiorno, né tantomeno in cantina, perché rischierebbe l’infarto mentre cerca qualche vecchio libro da vendere al mercatino.
Nonostante ciò, pensate che i suoi quadri hanno fatto il giro del mondo, fino a raggiungere, ad oggi, valori di migliaia di euro.
Tranquilli che mo ve spiego.
È il 1980, a circa vent’anni dalla nascita del suo piccolo atelier, Giovanni Mattò viene scoperto dal conterraneo Salvatore Fiume –una figura di nicchia: ha avuto solo un paio di opere esposte al MoMA di New York ed altre sparse in giro per il mondo-.
Insomma, entrambi siciliani, entrambi artisti, i due si conoscono e si stanno pure simpatici.
Grazie alla ben più alta notorietà del secondo, i quadri del primo vengono esposti in numerosi musei esteri, ammirati ed acclamati proprio per lo stile insolito ma semplice.
Nonostante la fama, il Pittore della Mattanza non ha mai abbandonato la sua isola.
Era troppo legato dall’affetto verso i luoghi in cui era cresciuto.
L’eccentrico artista ci ha lasciati lo scorso anno, ma le sue opere sono tornate nella sua amata Favignana per onorarlo con una mostra chiamata “e i tonni sono volati nel cielo”.
Ah, quasi dimenticavo la morale della favola: chi vi dice che per essere dei bravi artisti bisogna studiare, mente spudoratamente.
Scritto da: Alessandro 5A