Fronteretro: l’apparenza non è tutto
Soundtrack da ascoltare: “The Look” – Metronomy
Nella nostra vita, spesso ci capita di percorrere strade che ci fanno paura.
E non perché passano tante macchine o sono poco illuminate, ma poiché sappiamo che il luogo dove ci stanno portando non è quello in cui vorremmo andare.
Per esempio, il tragitto casa – scuola quando sai di avere un’interrogazione ma non hai aperto libro; oppure quello scuola – casa quando hai preso 4 e non sai come la prenderanno i tuoi.
Ecco immaginatevi questo, ma molto, molto peggio.
Il miglio verde è il corridoio della prigione di Cold Mountain che dalle celle porta direttamente alla sedia elettrica, denominata ironicamente “old sparky”, vecchia scintillante.
Forse proprio per dare centralità a questo luogo di passaggio così triste e struggente, Stephen King ha dato proprio questo nome ad uno dei suoi romanzi più famosi.
Il miglio verde, uscito nel 1996, racconta proprio degli avvenimenti del Blocco E di questo penitenziario, cioè quello dei condannati a morte.
In realtà, narra la storia di un detenuto in particolare. Uno diverso dagli altri, e per questo estremamente misterioso.
Non farebbe del male nemmeno… ad un topolino
Questo settore del penitenziario di Cold Mountain è davvero pericoloso. Al suo interno, vi sono uomini psicopatici come Wharton, aggressivo e violento, che proverà persino ad uccidere due guardie.
Oppure criminali come Delacroix, un assassino che in carcere farà amicizia con un piccolo topolino – che si rivelerà importante per la storia, non preoccupatevi – .
E a sorvegliarli ci sono le guardie penitenziarie, tra cui Paul Edgecombe, narratore della storia e personaggio principale.
Sarà proprio lui, infatti, a raccontare in ospizio, molti anni dopo, il caso di John Coffey.
Quest’ultimo, accusato di aver violentato ed ucciso due bambine, quando arriva alla prigione, si differenzia subito dagli altri condannati: ha paura del buio, non sa allacciarsi le scarpe e sembra un uomo buono e senza nessun pensiero cattivo.
Edgecombe fa molta fatica a credere che sia stato lui a commettere un crimine tanto orrendo.
E ci crederà ancor meno quando scoprirà i poteri speciali che possiede quest’uomo – proprio grazie a Mr. Jingles, il topolino di prima -.
Ma vi ho già detto fin troppo, ora sta a voi scoprire il resto!
L’apparenza costa cara
Quante volte siamo certi di conoscere una persona solo perché qualcuno ce ne ha parlato in un certo modo?
Spesso capita di pensare che per capire qualcuno basti vedere il modo di comportarsi o basarsi su quello che altre persone ci hanno riferito.
Eppure, nel caso di John Coffey, c’è una contraddizione: i – presunti – fatti non coincidono con il modo in cui egli appare.
Allora, come si fa a giungere alla verità?
Sia nella vita che in questo libro, l’unico modo per arrivare ad essa è conoscere.
Ma conoscere in prima persona, non per sentito dire.
L’apparenza può dare un’idea giusta come può ingannare. L’importante è non lasciarsi influenzare da essa, ma capire, con tutti gli strumenti che si hanno a disposizione, qual è la realtà.
E forse la storia di John Coffey, grazie a questo contrasto, ci ricorda proprio questo.
Scritto da: Benedetta, 3G