I supereroi non esistono, ma gli eroi sì
Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “Povera patria” – Franco Battiato
19 luglio, 1992.
Per tante persone era una semplice, calda giornata di metà estate. Nessuno si aspettava che anche questa data sarebbe stata così significativa per l’Italia.
In fondo, il desiderio era quello che dopo la strage di Capaci non si sarebbero più ripetuti eventi del genere.
Finalmente, il nostro Paese si era sentito colpito e, in qualche modo, “svegliato”, dopo quel tragico avvenimento.
La prospettiva era quella di un futuro più luminoso, in cui tutti, sia il mondo politico che i cittadini, si sarebbero impegnati per sconfiggere la Mafia.
Invece, quel 19 luglio riportò le lacrime e la mancanza di speranza.
Alle 16:59, davanti alla casa della madre del giudice Paolo Borsellino, una Fiat 126, imbottita con 90 chili di Semtex-H salta in aria uccidendo il giudice e cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Quel mostro terribile chiamato Mafia, aveva colpito ancora.
Quando il lavoro di un uomo salva la vita di altri
Paolo era un ragazzo siciliano che amava la giustizia. A soli 23 anni entrò nella Magistratura e si guadagnò il titolo di “Più giovane magistrato d’Italia”.
Presto divenne amico e stretto collaboratore di Giovanni Falcone e furono due tra i giudici più importanti nella lotta a Cosa Nostra.
Quello che Paolo portava avanti, però, insieme ad altri uomini, non era un lavoro semplice: troppe volte si ritrovò solo contro la Mafia e il silenzio che la proteggeva, senza l’aiuto dello Stato e delle istituzioni.
Ma nonostante questo, probabilmente, sapeva che aveva un compito da portare a termine.
Infatti, nel 1983 entrò a far parte del pool antimafia, cioè un gruppo di uomini, scelti da Rocco Chinnici, capaci di portare avanti delle indagini pericolose.
Il processo più importante a cui Borsellino prese parte fu il Maxiprocesso, così chiamato perché pare che fu il più grande processo penale mai istituito.
E grazie al lavoro di Falcone, di Borsellino e del pool antimafia, che si basò per lo più sulle dichiarazioni del pentito Tommaso Buscetta, 346 mafiosi vennero condannati.
Dopo tanta fatica, paura e silenzio, finalmente lo Stato si era fatto sentire. Finalmente si era capito chi era dalla parte del giusto e chi no.
Un uomo, prima che un giudice
Quando parliamo di vicende come questa, spesso, si perde il senso umano della storia.
Paolo Borsellino, prima di essere un giudice, un magistrato, un eroe, è un uomo.
Un uomo con una famiglia meravigliosa formata da Agnese, sua moglie, e i suoi tre figli: Fiammetta, Manfredi e Lucia.
Ed è questo il punto che ogni volta mi fa fermare a riflettere.
Falcone decise di non avere figli, nonostante li desiderasse, per paura di lasciarli orfani troppo presto.
Ora pensate a quanto sia stato difficile vivere ogni giorno con la consapevolezza e il timore di lasciare tre figli senza un padre e una moglie senza suo marito.
Riflettete su quanto potesse essere complicato vivere una vita come la sua, prima che da quello lavorativo, dal punto di vista umano.
Eppure, se mi chiedo perché l’ha fatto, la risposta mi appare chiara.
Forse l’insegnamento che voleva trasmettere ai suoi figli era quello di non sottrarsi mai ai propri doveri.
E sua figlia Lucia fu la prima che, poche ore dopo la sua morte, dimostrò quanto le era chiaro questo concetto, sostenendo un esame universitario e lasciando incredula la commissione.
Ma non solo questo: lui voleva donare alla sua famiglia e ad ognuno di noi un posto migliore in cui vivere.
Paolo Borsellino voleva donare una speranza.
E ci è decisamente riuscito, non trovate?
Una speranza da portare avanti
C’è una frase di Borsellino tanto vera quanto amara mista a fiducia
“È bello morire per ciò in cui si crede; chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola.”
– Paolo Borsellino
Molti dicono che Borsellino, dopo la morte di Falcone, ripetesse spesso:
“Ora tocca a me.”
– Paolo Borsellino
Lo sapeva. E fu proprio per questo che velocizzò le indagini sulla morte di Falcone, appuntando ogni informazione utile su un’agenda rossa, che sparì pochi minuti dopo la sua morte.
Se lo sentiva. Aveva capito che ormai il suo momento era arrivato. E lo accettò. Per rendere migliore la vita di tutti noi.
Le parole non basteranno mai per esprimere quanto Borsellino ha fatto per ciascuno di noi, per far capire quante vite ha salvato e quanta speranza ha donato.
Ed è vergognoso sapere che non si conosce ancora la verità sulla sua morte e su tante altre tragedie che il mostro ha causato.
Perciò non dobbiamo smettere di combattere. Lui ci ha passato il testimone. Siamo noi che dobbiamo continuare la corsa e portarla a termine. Siamo noi che ora abbiamo il potere di cambiare le cose.
Siamo noi che dobbiamo sconfiggere la Mafia.
Scritto da: Benedetta, 3G